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In una calda sera estiva dell’emisfero antartico l’aereo in cui mi trovavo atterrò
dolcemente e per la prima volta nella mia vita, erano i primi di febbraio del 2005,
mi trovavo al di sotto dell’Equatore, a sedicimila chilometri da dove ero nato e
avevo vissuto per più di cinquant’anni, all’aeroporto Ezeiza di Buenos Aires.
L’immensa metropoli del continente sud americano non si vedeva. E a dir la verità
anche camminando tra i saloni dell’aeroporto e passando attraverso i controlli,
sembrava di essere ancora in Europa, in una qualunque sera estiva, se non fosse
che il mio orologio mi avvertiva che avrebbe dovuto essere notte fonda.
Ma quando finalmente uscimmo all’aria aperta, quando vidi l’auto che ci attendeva,
una vecchissima Peugeot riparata mille volte, segno della crisi ancora imperante,
quando sentii la lingua parlata dalle persone, un castigliano, sì, ma cadenzato
in maniera diversa, quando mi accordi della targa dell’auto e delle bandiere bianco
celesti, e dei volti dei nativi, dei meticci, degli spagnoli, e di italiani antichi,
che parevano usciti da vecchie foto di tanti anni fa, allora e solo allora iniziai
pian pianino a sentirmi nella Nuova Terra, la Terra Promessa per tanti italiani
partiti dai loro paesi con una valigia di cartone ripiena di stracci e di speranze.
I miei arrivi successivi, nel 2007, nel 2009 e nel 2010, notarono subito dei
cambiamenti. Il parco macchine si rinnovava a una velocità impressionante.
Le auto nuove, nel 2010, prevalevano nettamente sulle vecchie, ormai quasi
scomparse. I volti e le voci erano sempre le stesse ma le bandiere parevano
sventolare con più vigore e rinnovata vitalità.
Ma torniamo al primo impatto. Dall’Ezeiza alla metropoli vera e propria ci
sono decine di chilometri di Autostrada. Lentamente, ai lati, compaiono i
primi palazzi, piccoli grattacieli stretti e bianchi, immersi tra ombre di
grandi alberi e di altre case di periferia, il tutto coperto dall’oscurità
della sera che diventava notte.
Non eravamo su un tassì vero e proprio, bensì su di un Remis. I
Remis sono auto non colorate in giallo e nero come i tassì di Buenos Aires.
Sono macchine normali che appartengono ad alcune compagnie e che pratica tariffe
decisamente più convenienti dei tassì. L’autista ci accompagnò alla Terminale,
chiamata dagli abitanti di Buenos Aires El Retiro, e che è la stazione
di base della metropoli per le linee su strade, costituite da centinaia di
enormi autobus a due piani, dotati di ogni comfort, dalla macchina per il
caffè ai servizi igienici. Tali autobus sono diffusi pressoché in quasi tutte
le Americhe e io personalmente li avevo visti in tanti film e serie televisive
degli Stati Uniti (o del Nord America, come i latino americani).
Personalmente trovo estremamente efficiente e pratico il sistema dei pulman
che percorrono in lungo e in largo le Americhe. Sono molto più duttili e
adattabili delle linee ferroviarie. Ogni autobus può avere una linea personalizzata,
dai più diretti a quelli che si fermano ad ogni paesetto (o pueblo. Ce n’è
ad ogni ora, sono estremamente comodi, rapidi e affidabili.
Quella notte intravidi dal finestrino del pullman per la prima volta l’Argentina,
che poi era l’Argentina del Nord. La pianura, estesa a perdita d’occhio, alternava
campi a boschi, nella semi luminosità della notte estiva.
La strada correva parallelamente al fiume Uruguay, che disegnava il confine tra
l’Uruguay e l’Argentina, ma che restava nascosto ai miei occhi dalla vegetazione.
A un certo punto l’autobus si fermò e la voce dell’autista, anche per svegliare
coloro che il rollio del veicolo aveva fatto addormentare, gridò a voce molto
alta: Gualeiguachù!.
La parola aveva un sapore nativo, rievoca l’infanzia e i film Western, e solo
allora m i resi totalmente conto di essere in quel continente, il cosiddetto
(dagli europei) Nuovo Continente.
Gualeiguaciù. Improvvisamente decisi di scendere. Juanita e Nora, che mi
accompagnavano, mi guardavano preoccupate e perplesse. Non so, credo che temessero
che mi sarei potuto perdere. Avevo 55 anni e una grande esperienza di vita, e non
avrei avuto difficoltà a entrare nel grande edificio, che non somigliava per niente
agli Autogrill europei ma che in realtà lo era a tutti gli effetti. Mi recai in
bagno e qualche minuto dopo ero già di nuovo in autobus.
Ecco, quella era stata la mia prima esperienza solitaria di quell’avventura.
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La gran Buenos Aires La Gran Buenos Aires La mega Metropoli
di dodici milioni di abitanti (ma forse, anzi, probabilmente
sono molti di più) attrae ogni giorno frotte di turisti, in cerca delle atmosfere
incantate dei locali del Tango, dei colori della Boca,
di una metropoli europea innestata nel cuore dell'América Latina!
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